Grazie a Danilo Gigante e Massimo Ferrarotti mi è stata offerta l’occasione di tornare a studiare, a emozionarmi, a crescere. Ecco perché vado per mostre ne inizio timidamente a scrivere e cerco soprattutto come giornalista economico di emancipare l’Arte dal circuito extra economico…. Signori è tempo di dire che con l’Arte si mangia. Ma andiamoci piano e mettiamoci a studiare. Con rispetto. Ecco perché sono lieto di proporre sul sito di International Broker Art una preziosa testimonianza raccolta anni fa da Massimo Ferrarotti… uno scritto di Abo, Achille Bonito Oliva. Attualissimo. Come solo un Maestro sa essere.
Buona lettura.
Massimo Lucidi
Di Achille Bonito Oliva
ARTISTI IN PEDANA
Forse, anche questa volta, possiamo dichiarare Nume tutelare l’Electronic Art Cafè. Tommaso Filippo Marinetti dichiarò: “Noi siamo la caffeina del Mediterraneo”, da qui è nato, forse anche inconsapevolmente, l’Electronic Art Café, che trova il suo battesimo nel 1994, in un rapporto immediato, di stretta collaborazione, tra il sottoscritto, quale direttore della Biennale di Venezia e Umberto Scrocca, il quale, a sua volta, cooptò per l’iniziativa Xerografia Freddy Grunert. Xerografia fu un evento estremamente importante nella mia Biennale, in quanto, confermava il taglio multiculturale, transnazionale e multimediale di questa edizione, che avevo battezzato Punti cardinali dell’Arte: un invito ad artisti internazionali di altissimo livello, cominciando da Nam June Paik, con i video che affermavano, già dal titolo, questa posizione, un territorio libero della creazione, questa sorta di nomadismo collegato, a sua volta, a una sorta di identità mobile dell’artista. Il Nemo profeta in patria, vivendo sostanzialmente in un mondo globale, diventa il Nemo profeta. Il mezzo elettronico scavalca il territorio, la geografia viene trafitta dalla velocità del mezzo, ecco che Xerografia fu un evento che segnò la mia Biennale di Venezia. All’insegna del nomadismo, quel nomadismo che portò alla costituzione dell’Electronic Art Café, che Umberto Scrocca volle e denominò, forse senza mai aver letto un gran ché, Electronic Art Café. Ci fu un passaggio a New York, ma la grande partenza avvenne a Roma, al Palazzo delle Esposizioni, “Artisti in pedana”, si può dire un quinquennio di arte notturna. Noi precettavamo, una volta alla settimana, artisti provenienti da diversi contesti culturali, geografici e generazionali, sempre in una strategia, che è quella della contaminazione, dell’attraversamento. Coesistenza di presenze diverse, che costruivano spontaneamente, una serata: un’arte pronta dalle 22 in avanti, fino a notte inoltrata. Giocando tra attenzione e disattenzione collettiva, c’era una sorta di cena in piedi, dal bar si passava al centro dove, sulla pedana centrale, gli artisti visibili a 360˚, esponevano se stessi, le proprie opere, i propri materiali, le proprie tecniche, la propria parola; dall’arte concettuale alla Transavanguardia, dalla fotografia al multiculturalismo di artisti che venivano a testimoniare la tragedia bosniaca. A Serrano che spiegava al pubblico il taglio crudele di una fotografia, che non si fermava davanti a nulla, né alla religione, né alla camera mortuaria, era portatrice di un’immagine che immediatamente diventava prassi. Vector Pisani che assume la pornografia nell’ambito della sua opera, dimostrando che l’arte non ha memoria, per ogni contenuto, non esiste volgarità nell’arte, esiste la possibilità, invece, di dimostrare come l’elemento pornografico, il dettaglio, si scolora felicemente nell’erotismo, in un’immagine vitale. Pittori, scultori, generazioni diverse a confronto, che si misuravano in uno spazio “Artisti in pedana” nell’Electronic Art Café, che era uno spazio, sostanzialmente, dinamico, nel Roof-Garden del Palazzo delle Esposizioni, in un clima notturno, ecco che l’arte diurna trovava continuità: nessuna differenza tra il giorno e la notte. Il pubblico partecipava attivamente, portando dentro il rumore della vita, un rumore di fondo, che veniva assorbito da eventi che avevano scacciato fuori la sacralità del silenzio museografico o il sottovoce della contrattazione della galleria. Eventi disinteressati ma che partivano sempre, questo sì, consapevolmente e, anche noi consapevolmente, dalla frase di Picasso: “l’Arte puntata sul mondo”. Tutti gli artisti che testimoniavano del quinquennio del Palazzo delle Esposizioni una posizione verso la vita, uno sguardo sul mondo ma, sempre da una lateralità, con la coscienza che l’arte è un linguaggio autonomo, non è documentazione, ma è rappresentazione, è slittamento, una contro realtà nella quale il pubblico diventa elemento strutturale. L’Electronic Art Café è la prova vivente che non esiste orario burocratico per l’arte, non bastano le otto ore di ufficio, il sistema dell’arte, la catena di Sant’Antonio, costituita da artista, critico, gallerista, collezionista, museo, media e pubblico è sempre al lavoro per rappresentare, appunto, un valore aggiunto, il plusvalore, che fa dell’arte una super-arte. Quindi tutti gli anelli di questa catena sono stati in pedana, attraverso l’Electronic Art Café, nei cinque anni al Palazzo delle Esposizioni. Libri presentati con un taglio sociologico, sulla pubblicità, sulla politica, sulla topologia, sulla letteratura, dunque, l’arte ha avuto sempre libertà di espressione. Gli “Artisti in pedana” ne hanno fatte di tutti i colori, in un’estrema libertà, un sistema di accoglienza e, nello stesso tempo, spinti da un nomadismo che ha portato l’Electronic Art Café a realizzare delle felici migrazioni, quasi stagionali, in altre città, italiane e straniere: approdando al Festival di Locarno, al Festival di Pantelleria, realizzando la Biennale dei Parchi di Roma stessa, decentrandosi, incuneandosi nei giardini delle Accademie di cultura straniera, a Roma e, accogliendo, installazioni, interventi che scalavano i gradini della Galleria Nazionale di Arte Moderna, che invadevano lo spazio dell’Accademia austriaca, l’Accademia americana, l’Ambasciata francese. Le storie dell’Electronic Art Café, sotto la spinta della caffeina, visto che, come diceva Savinio: “Il nome è un destino”, in questo caso, la denominazione della nostra ditta ha determinato il felice scorrimento, scorribande direi, approdando, anche, finalmente, nei ristoranti e nei bar notturni di Roma, che l’incontro più significativo e più struggente, con Bartolo Cuomo, passato attraverso il Caffé della Pace, con l’intervento di Emilio Prini, estremamente radicale, una installamento che l’arte produceva nello spazio interno del bar. Poi, quasi una seconda “Artisti in pedana”, nella sua collocazione, circondata dagli alberi, l’Art Café nell’isola felice del ristorante Santa Lucia, con interventi di artisti che arrivano fino alla Transavanguardia: Sandro Chia, che ha aperto varchi, agli interventi dei giovani H.H. Lim, Felice Levini, Neri. La storia dell’Electronic Art Cafè ha funzionato su questa strategia, l’estetizzazione:vaporizzare l’arte fuori dai confini deputati, fuori dall’architettura canonica della galleria, dall’architettura santificata del museo, dalla protezione della casa del collezionista, sciamare per strada, invadere spazi altri..L’estetizzazione significa, appunto, il passaggio ad una pratica dell’arte che vuole invadere la vita, che si accosta al suo pubblico naturale e convive Intermix.NY,.stabilisce.rapporti.di collaborazione, di collusione e di complicità culturale, sconfina nei festival, torna su se stessa, collabora, finanche, nel realizzare il mio “Todo modo”, l’arte spiegata ai bambini, “ i premi A.B.O. d’Oro e A.B.O. d’Argento”. Una sorta di pronto soccorso notturno per artisti, critici, per un pubblico veloce che, avendo ingerito la caffeina dell’arte, questo pubblico diventa anch’esso, come l’arte, uno sguardo collettivo puntato sul mondo.